Nessuno nasce imparato. Se vogliamo iniziare un’attività abbiamo bisogno di informazioni. Le classiche nozioni basilari. Così come quando ci siamo messi in mente di pescare a carpfishing. Abbiamo cercato più informazioni possibili: chi sul cartaceo (come noi anziani), chi sui forum per finire su Youtube e Facebook. Devo essere sincero. I gruppi Facebook sono le fonti peggiori. Ognuno spara a cazzo la propria personale esperienza, ma che esperienza non è. Forti del fatto che tutto scivola via come una scrollata, si sparano le cazzate più assurde, auto referenziati dal “io mi trovo bene così”. Chi potrebbe opporsi a tale soggettività? Sono inattaccabili.

Meglio tornare all’ iter formativo. All’inizio abbiamo un atteggiamento umile, proteso all’apprendimento. Ma bastano le prime catture per diventare fenomeni, esperti di ogni sfumatura della tecnica. Scriviamo carpfisching invece di carpfishing, ma sono dettagli. Ho già spiegato in dettaglio il motivo per cui meno so e più penso di sapere nell’ articolo “VUOI MIGLIORARE NELLA PESCA? ALLORA DEVI CONOSCERE L’ EFFETTO DUNNING-KRUGER” che trovi sul blog. Sta sulle palle a molti avere a che fare con saccenti di primo pelo, ma è la scienza a spiegare che è un comportamento sociale per cui, ne prendiamo atto, non ci facciamo prendere dalla furia omicida, evitando di immolare giovani carpisti alla Divinità della Conoscenza. Siamo già in pochi…

Con il tempo, la tendenza ad apprendere si fa meno bramosa. Si affievolisce sempre più velocemente il lumicino della curiosità. Probabilmente le informazioni che abbiamo sono sufficienti a scappottare, a fare qualche pesce in più d’estate e ci sentiamo appagati. Sapete dove siete finiti? Nella COMFORT ZONE. Stiamo bene con le nostre informazioni e il pensiero di dover modificare qualcosa ci infastidisce.

Diventiamo allergici alle novità. Lo riconosco subito il tizio che sguazza nella COMFORT ZONE. E’ quello che in negozio ti dice: “non sanno più cosa inventarsi” oppure” mi trovo bene con questo terminale”. Il massimo è “con questo ciò sempre fatto pesce, non voglio cambiare”. Tra di loro si nasconde anche qualche seguace della setta “frutta d’inverno pesce d’estate”. Ci metto la mano sul fuoco.

La zona di comfort è uno stato d’animo nel quale ci sentiamo sicuri. Se ci sentiamo sicuri, viviamo tranquilli, ma è una felicità di plastica. Se vi state facendo due calcoli a mente sulla possibilità di essere in COMFORT ZONE, allora voglio aiutarvi ad auto diagnosticarvi. Iniziamo col definire la COMFORT ZONE:

Secondo Wikipedia, la “COMFORT ZONE è una condizione mentale nella quale una persona prova un senso di familiarità, si sente a suo agio e nel pieno controllo della situazione, senza sperimentare alcuna forma di stress e ansia.”

Insomma, come quando siamo seduti sul divano di casa a guardare la nostra serie Tv preferita. Ma anche in pesca abbiamo la nostra COMFORT ZONE. La domanda è: perché dovremmo uscirne?

Il motivo è semplice: finché ci restiamo, le nostre prestazioni sono piatte. Non c’è curva di apprendimento, non c’è miglioramento. Continuiamo a fare sempre le stesse cose. Ci sono diversi studi che confermano che uscire dalla COMFORT ZONE migliora le nostre prestazioni. Quindi dobbiamo essere propositivi al cambiamento. Facile a dirsi, ma c’è un prezzo da pagare: lo stress.

Lo stress è la risposta del nostro organismo quando si sente messo sotto pressione da qualcosa. È una risposta naturale che si attiva ogni volta che per un motivo o per l’altro abbiamo la sensazione di dovere fare appello a tutte le nostre facoltà fisiche e mentali per cavarcela in una qualche situazione… che sia scappare da una tigre affamata o costruire un nuovo rig.

Quando siamo nella COMFORT ZONE, siamo molto tranquilli e rilassati, ma ci manca quello stimolo necessario a dare il meglio di noi stessi. Lo stress, in questo caso, è funzionale a rendere ottimali le nostre prestazioni. È la situazione in cui si trova lo studente preparato prima di un esame, o l’atleta prima di una gara. Lucido, concentrato, teso verso l’obiettivo.

Anche nel carpfishing è così. Quando affrontiamo un nuovo lago, siamo euforici e stimolati, coscienti del nostro potenziale e della nostra preparazione. Quando invece, oltre al lago, non sappiamo maneggiare l’attrezzatura e non abbiamo le nozioni base della biologia della carpa, lo stress e il disagio superano il livello ottimale. La situazione si ribalta: troppa insicurezza e troppa ansia portano a una situazione di panico in cui tendiamo a bloccarci. Come quando passeggiamo nervosamente davanti la tenda, come a voler cambiare tutto e poi non cambiamo nulla.

Se l’ansia e la paura prendono il sopravvento, le nostre prestazioni calano. Sperimentiamo confusione, difficoltà di concentrazione, andiamo nel pallone. Dobbiamo essere bravi a rimanere tra la zona di rifiuto all’ apprendimento e quella della paura che ci blocca le gambe.

Cosa succede quando raggiungiamo la zona ottimale di apprendimento? Le nostre prestazioni migliorano, con picchi d’apprendimento. Poi ci abituiamo nuovamente. Una volta superato il limite, ci adagiamo di nuovo nel comfort perché l’abilità appena appresa diventa parte della COMFORT ZONE. Superato il limite, ci portiamo al livello successivo.

È un po’ come quando acquistiamo una nuova canna da pesca. Con quella vecchia, con cui peschiamo da anni, ci sentiamo sicuri e lanciamo senza nemmeno pensarci. Se cambiamo canna – almeno a me succede così – c’è una fase in cui ci sentiamo un po’ a disagio. Non conosciamo il comportamento della nuova canna, non sappiamo come risponde ai comandi. Dopo un po’ che la usiamo, però, ci diventa familiare e torniamo a sentirci a nostro agio. La zona di comfort si è espansa e adesso comprende l’uso della nuova canna.

La cosa interessante è proprio questa: la zona di comfort si può espandere. Quello che oggi ci mette a disagio, domani potrà farci sentire assolutamente tranquilli e padroni della situazione. Per arrivarci però dobbiamo avere il coraggio di abbandonare la nostra COMFORT ZONE e accettare il disagio. Se non passiamo di qui, se cerchiamo di evitare sempre il disagio e l’insicurezza, restiamo inchiodati dove siamo.

Addirittura, a volte siamo così cretini che preferiamo restare in una situazione negativa che però conosciamo molto bene, piuttosto che rischiare di affrontare l’incertezza del cambiamento. Questa è la trappola della COMFORT ZONE. Non è detto che la COMFORT ZONE sia così comfort. Qualche volta ci stiamo anche male, ma siamo per così dire “a nostro agio” nel disagio semplicemente perché ormai ci siamo abituati, ci è familiare, non richiede sforzi aggiuntivi.

Come quando continuiamo a slamare con un terminale, ma siamo così pigri e refrattari all’apprendimento che ne accettiamo il lato negativo. Sembra impossibile che succeda, invece succede e come. Ragionateci bene, perché tutti noi siamo vittime della COMFORT ZONE. Potrebbe essere quando peschiamo sempre negli stessi laghi, con gli stessi terminali, con gli stessi diametri di boilies…

Certi carpisti sembrano essere più felici nell’infelicità, si lamentano e si preoccupano di qualcosa, senza cambiarla. Questa è la maledetta zona di comfort. Ve lo ripeto: per uscire dalla zona di comfort è necessario accettare e fronteggiare il disagio. Dobbiamo stare scomodi, fare fatica, sperimentare un po’ di insicurezza e di ansia per potere passare al livello successivo.

Molte volte l’ansia è anche una reazione “esagerata” rispetto alla situazione reale, ma lo capiamo solo dopo averla metabolizzata. Come quando provate quella stretta allo stomaco, la confusione, l’insicurezza, il disagio del non poter governare completamente la situazione.

Provate il disagio di uscire dalla COMFORT ZONE. Accettate lo stress e controllatelo. Ma non fatelo sempre. Non dobbiamo per forza spingere sempre sull’acceleratore per superare i nostri limiti. Abbiamo bisogno anche di stare nell’agio, di sentirci al sicuro e protetti. Quindi sì: usciamo dalla zona di comfort, ma ricordiamoci che non dobbiamo essere sempre produttivi o tesi a imparare nuove cose. Personalmente trovo utile alternare periodi di COMFORT ZONE con piccoli momenti di stress. Possono essere variazioni nell’attrezzatura, nuovi laghi, nuovi approcci. Non dobbiamo cambiare tutto assieme, rischieremmo di impappinare il cervello con mille paranoie. Ogni tanto abbiamo bisogno di tornare a casa.

Good Vibes!

Valentino D’Intino